domenica 20 marzo 2011

"Buono da mangiare", un esempio di materialismo culturale .

Qualche tempo fa ho letto un saggio di antropologia culturale intitolato "Buono da mangiare", edito da Einaudi. L'autore è Marvin Harris, un antropologo sostenitore del materialismo culturale morto qualche anno fa. Spiego cos'è il materialismo culturale: si tratta di una corrente dell'antropologia culturale che pone come base della propria ricerca la pratica, la quotidianità, la necessità, e che sostiene che non è la cultura a fare la necessità, ma la necessità ad elevarsi, nella maggior parte dei casi, a cultura. Non è la sovrastruttura che crea la struttura, ma il contrario. Per fare un esempio trattato nel libro, se la domanda è "Perchè gli indiani non mangiano le mucche?", la risposta non potrà essere "Perchè la mucca è sacra per la loro religione", perchè allora arriverà necessariamente un'altra domanda, ovvero "Perchè la mucca è sacra per la loro religione?", e la risposta giusta sarà quella che pone fine a questa catena di domande. La risposta giusta è: gli indiani non mangiano le mucche perchè nel corso dei secoli hanno capito che per loro è più conveniente non mangiarla. E' così tanto più conveniente che le mucche restino vive in India, che le due religioni della zona - induismo e buddismo - hanno preso fra i loro precetti anche il divieto di mangiare carne di zebù, la tipica mucca indiana con le corna lunghe, proprio per scongiurare in ogni modo l'evento. Il che non significa che in alcune zone e in alcune occasioni lo zebù non venga comunque mangiato - ci sono caste indiane che ammettono il consumo di carne di mucca - evidenziando il principio dell'eccezione che conferma la regola, e dunque anche la necessità che esistano dei precetti e delle regole che la maggior parte della gente deve rispettare.


Il saggio di Harris è molto interessante, proprio perchè esplora tutta una parte della cultura, quella alimentare, che tutto sommato è poco considerata dall'intellettuale medio. Si ragione e si spezza il capello su tutto, ma quando si parla di cibo ci si occupa di mangiare più che di riflettere su ciò che si mangia e perchè. Questo saggio rompe in qualche modo il silenzio, e analizza in modo interessante e puntuale tutta una serie di abitudini alimentari proprie di diverse popolazioni in giro per il pianeta.

Ci sono varie cose da notare.

La prima è che tutti gli argomenti trattati parlano di alimenti di origine animale. Mucca, maiale, latte, insetti. Questo colpisce di primo acchito, ma poi con una breve riflessione si arriva a capire perchè. La maggior parte dei tabù alimentari nelle varie parti del mondo si riferiscono ad alimenti di origine animale. Perchè? Innanzitutto perchè l'animale, al contrario del vegetale, serve a fare varie cose, non solo ad essere mangiato. La mucca può tirare l'aratro, dare latte, fare da spazzina - come accade in India - e poi può essere mangiata. Idem la pecora, la capra, il cavallo, la gallina e il cane. Il solo animale domestico che non può fare altro se non dare carne è il maiale. Quindi l'uomo si è spesso trovato dinanzi alla difficile scelta se mangiare o meno una bestia: mangiare un animale significa togliersi una fonte di forza lavoro o di cibo che può durare nel tempo. In certi casi, allevare un animale addirittura significava rischiare di togliersi il cibo di bocca - come nel caso del maiale nel Vicino e Medio Oriente. Ecco allora nascere i tabù alimentari, che spesso vengono ripresi dalla religione: il Corano vieta di mangiare il maiale perchè "impuro, sporco", ma la vera ragione è che all'epoca della nascita dell'Islamismo in Mesopotamia la foresta, ambiente naturale del maiale, stava scomparendo, la popolazione stava aumentando e allevare maiali, che si nutrono non di economica erba ma di granaglie - che servono anche all'uomo per nutrirsi - stava diventando controproducente. Così il Corano "consiglia" di non mangiare maiale, così si evita di allevarlo e ci si dedica ad altro. Come al solito, esistono le eccezioni: ci sono popolazioni dell'Africa Orientale di religione islamica che da secoli mangiano maiale. Evidentemente da quelle parti c'era ancora abbastanza foresta da permettere l'allevamento suino! Il problema della convenienza o meno a nutrirsi di un animale vale anche per la cacciagione: molti tabù comprendono anche animali non addomesticati - il Vecchio Testamento è pieno di tabù in questo senso - e il motivo è da ricercare che anticamente ci si doveva porre il problema se valeva la pena sprecare tempo prezioso per cacciare animali difficile da uccidere, o se era meglio invece mettersi a coltivare il proprio campo o portare gli animali al pascolo. In una società basata sull'agricoltura e sull'allevamento questi erano problemi importanti, a cui la creazione di eventuali tabù rispodevano in qualche modo, creando delle consuetudini.


Un altro motivo per cui nascono tabù alimentari è la semplice inconsuetudine con un alimento, da cui possono derivare intolleranze: per esempio i cinesi schifano latte e latticini perché non hanno mai avuto bisogno di nutrisri di latticini, hanno avuto poca coabitazione coi bovini e di conseguenza non hanno sviluppato la tolleranza al lattosio - da sottolineare che la maggior parte della popolazione mondiale è intollerante al lattosio - ragion per cui, non potendo digerire il latte - e non avendo di fatto bisogno del latte come alimento - hanno sviluppato un tabù nei confronti di latte e latticini. Nella cucina cinese non troverete nulla a base di latte e formaggio, tranne il gelato fritto, che è una concessione al gusto occidentale.


I capitoli che ho trovato più interessanti sono però gli ultimi due, quello relativo ai pet, agli animali da compagnia, e quello sul consumo di carne umana. Sono senza dubbio due argomenti delicati e molto attuali. Nel primo caso Harris si sofferma sul curioso parallelo che si forma fra i cosidetti animali paria - ovvero animali considerati immangiabili perchè disgustosi, gli insetti valgono come esempio in Occidente - e gli animali dei - cioè quegli animali considerati immangiabili perchè "sacri", come la mucca per gli Indiani, il cavallo per gli americani e i"pet" per tutto l'Occidente.
Entrambe queste due categorie sono immangiabili, ma per motivi opposti. Gli uni perchè sono "schifosi", cioè in realtà perchè si è capito in tempi antichi che non valeva la pena sprecare energie per mangiarli - gli insetti in Occidente non hanno mai costituito una buona fonte d cibo - gli altri al contrario perchè offrono all'uomo benefici così maggiori da vivi che bisogna fare di tutto perchè la gente eviti di mangiarli. Parliamo di cani e gatti - che di per sé non offrono grandi fonti di carne - ma anche di cavalli - che invece non sarebbero disprezzabili come cibo - e di tutta una serie di animali che sono diventati "di moda" come "pet": furetti, cavie, criceti, pappagalli e via dicendo. Cosa offre il "pet" di così vantaggioso all'uomo? E' triste da dire, ma il "pet" in pratica, in molti casi, si trasforma in un essere umano per procura: offre compagnia, affetto, sicurezza - nel caso dei cani da guardia - serve nelle cure ospedaliere e spesso sostituisce in tutto e per tutto un altro essere umano. Il fenomeno del "pet" è tutto occidentale. La maggior parte delle persone parla coi propri animali, li veste, li porta dal veterinario per ogni stupidaggine, li vezzeggia, e questo accade solo da noi, tanto da essere diventato un vero e proprio business. Ci sono nel mondo moltissime popolazioni che trattano gli animali, specie quelli molto giovani, come bestie da compagnia, e li usano come giochi per i propri bambini. Ci sono popoli che lodano i propri cavalli, li addobbano, li lustrano, scrivono canzoni per loro, ma mai si sognerebbero di parlare con loro, o di trattarli come persone. Questo dovrebbe illuminarci a proposito della nostra "civiltà", che ci propone sempre avanzamenti nella tecnica e nella medicina, ma che in quanto a rapporti umani lascia molto a desiderare, ci fa vivere sempre più nella solitudine, tanto da desiderare di avere un cane che, almeno lui, ci ascolti.


Da notare ancora il capitolo relativo al cannibalismo. Lungi da essere un tabù morale, sostiene l'autore, il cannibalismo sarebbe stato praticato a lungo da molte popolazioni tutt'altro che "incivili". I maggiori consumatori di carne umana sono per altro gli Aztechi, considerati una della civiltà antiche più avanzate. La cosa più interessante che Harris fa notare è che il cannibalismo sarebbe un sottoprodotto della guerra, ovvero: si fa una guerra per vari motivi, e dato che ci sono dei morti, invece di abbandonarli agli animali, li si mangia. Non fa una piega: la carne umana è una fonte di proteine, dunque molto importante per l'alimentazione. Per gli Aztechi, poi, la carne umana è stata ancora più importante, poichè in Mesoamerica non c'erano animali da carne. Sostanzialmente, Harris fa derivare l'attuale abominio occidentale per il mangiare carne umana dalla nascita di civiltà stanziali sempre più grandi. Finchè gli uomini erano organizzati in bande, non potevano permettersi di catturare prigionieri, perchè questi uomini in più non avrebbero costituito un vantaggio per il gruppo: ci si spostava continuamente, non si aveva bisogno di forza lavoro aggiuntiva, e i prigionieri andavano sfamati...dunque li si mangiava. Con la nascita di tribù stanziali dedite all'agricolutra e alla pastorizia, il valore dell'uomo diventava maggiore da vivo piuttosto che da morto: un prigioniero poteva essere usato come schiavo nei lavori di fatica, per esempio. Così le alte gerarchie cominciarono a lavorare per istillare nella mente del popolo che mangiare carne umana era sbagliato: per evitare che i soldati si mangiassero i prigionieri invece di consegnarli a chi avrebbe potuto utilizzarli come forza lavoro aggiuntiva, ovvero re e nobili vari. Ecco nato un tabù morale, il più forte di tutti. Da notare che ci sono molte popolazioni in giro per il Mondo dove fino a poco tempo fa era ancora molto usata la pratica di mangiare parenti morti, prima di essere "civilizzate".


Lungi da considerare gli attuali sistemi di produzione del cibo "perfetti", Harris puntualizza che in ogni parte del Mondo si è cercato di ovviare ai problemi di nutrizione adottando pratiche che non possono essere capite se non all'interno di una analisi più complessa della società in questione, come ben spiega nel capitolo in cui parla della diffusione della cheratite secca fra i bambini thailandesi, vietnamiti e cambogiani, dovuta alla carenza di vitamina A. Inutile dire ai popoli colpiti "date più vitamina A ai vostri figli", perchè naturalmente questi bambini muoiono, ma non per la cheratite, bensì di fame. Segno che in realtà hanno carenza di cibo in generale. La vitamina A si trova nei vegetali a foglia verde, abbondanti in quelle zone, ma una famiglia, dovendo scegliere se nutrire il figlio con riso o vegetali - e non potendo procurarsi entrambi - ovviamente sceglie il riso, che è più energetico, piuttosto che i vegetali. A noi Occidentali questi sembrano probabilmente problemi incomprensibili, perchè qui nessun genitore si trova davanti ad una scelta simile.

In conclusione, il saggio di Harris merita di essere letto perchè offre tutta una serie di punti di vista molto poco conosciuti ed esplorati, e perchè inaugura il concetto che "una cosa diventa buona da mangiare quando è anche buona da pensare".


*neve*

1 commento:

Simone Ariot ha detto...

Ho letto e studiato "buono da mangiare" quasi 20 anni fa. Domani dovrò moderare un incontro (sono giornalista) sul tema alimentazione e questo riassunto mi è stato utilissimo. Complimenti per la scorrevolezza e la qualità della scrittura, e grazie per l'utile ripasso